L’anno trascorso è stato molto significativo per la Cina e l’Europa, in quanto
ha segnato il 40° anniversario dello stabilimento delle relazioni diplomatiche.
Insieme a questo simbolismo, entrambe le parti hanno compiuto passi specifici
per rafforzare la cooperazione, anche con la partecipazione di diversi potenti
paesi europei alla nuova Banca di Investimento Infrastrutturale Asiatica
(fondata su iniziativa cinese). Questo potrebbe essere un anno ancora più
importante per le relazioni sino-europee, se l’UE concederà alla Cina lo status
di economia di mercato (MES). Secondo il protocollo di adesione cinese al WTO,
del 2001, lo status di economia non di mercato (NME) scadrà l’11 dicembre. Ma
Washington è molto critica, mentre la maggior parte degli stati europei sono
favorevoli. In questo quadro, come spesso è accaduto negli ultimi decenni, gli
Stati Uniti stanno esercitando pressioni sulla UE per evitare la concessione
alla Cina dello status di economia di mercato. Il Financial Times, per esempio,
ha recentemente pubblicato un articolo che descrive questa pressione come un
messaggio di avvertimento.
Washington tradizionalmente vede con sospetto le
ambizioni di Pechino. Oltre a questo, le elezioni presidenziali americane del prossimo
novembre portano alcuni politici ad esagerare e a espandere le critiche su
“questioni calde” come la Cina. Alcuni di loro credono di poter ottenere
maggiori sostegni, sottolineando la propria opposizione contro la Cina (o
l’Iran, per la questione delle sanzioni). Uno studio di un istituto americano,
l’Istituto di Politiche Economiche, conclude che in Europa, in caso di
riconoscimento del MES alla Cina, verrebbero persi tra i 1,7 e 3,5 milioni.
L’argomentazione si basa principalmente sulla preoccupazione di alcune
industrie, e sull'impossibilità per l’Europa di imporre dazi sui prodotti
cinesi a basso costo. L’Italia, inutile a dirsi, pur avendo fatto il diavolo a
quattro pur di giungere al TTIP (accordi di libero scambio con gli USA) si
riscopre protezionista nei confronti della Cina: Roma è la più attiva a livello
europeo contro il riconoscimento alla Cina dello status di economia di mercato,
supportando pienamente l’aggressivo pressing americano. Ma uno studio
approfondito pubblicato dal Parlamento europeo lo scorso mese minimizza gli
scenari catastrofici per l’Europa. In particolare, si afferma che “le
implicazioni economiche della concessione alla Cina del MES può essere positivo
per alcuni settori dell’economia e negativo per gli altri [e che] nessuna
valutazione integrale è stata ancora effettuata.” In altre parole, lo studio
indica che l’Unione europea deve elaborare più studi sui benefici che potrebbe
trarre da tale concessione, piuttosto che focalizzarsi sugli effetti negativi.
Alcuni mesi fa la Commissione europea aveva informalmente informato i media che
“non sarebbe saggio non concedere il trattamento di economia di mercato alla
Cina.” Sulla stessa lunghezza d’onda, Germania e Gran Bretagna, mentre la
Francia si limita a non obiettare. Bruxelles è in contatto con Pechino per
poter soddisfare i criteri necessari e continuare il cammino cinese lungo la
strada delle riforme. L’Unione europea conta sul suo partenariato strategico
con la Cina in un periodo che vede molte aziende cinesi partecipare alle
privatizzazioni in corso e le banche cinesi contribuire al nuovo piano di
investimenti di Jean Claude Juncker. Il numero di posti di lavoro che possono
essere creati attraverso questa cooperazione profonda non può essere ignorato.
Farlo significa sfidare gli USA, e subirne quindi le ritorsioni. Una parte di
queste, Germania e Francia le hanno già subite, vedi i casi Wolkswagen e
Renault, che solo gli ingenui riterranno essere mere coincidenze.
L’Unione
europea affronterà il primo passo questo mercoledì.
Ma
in che consiste la questione? Finora, se un Paese riteneva che la Cina attuasse
il dumping (pratica scorretta che consiste nel vendere in perdita pur di
sbarazzarsi dei concorrenti, in modo da acquisire quote di mercato altrimenti
inaccessibili) su uno o più prodotti, poteva-doveva non guardare al prezzo di
tale/i prodotto/i sul mercato interno cinese (come di regola) ma su un paese
alternativo che avesse lo status di MES. Il che ha costituito e costituisce
tuttora una pratica vessatoria, dato che poi le inchieste erano condotte in
modo da non permettere a Pechino alcuna difesa, costringendo le aziende cinesi
a subire gravi danni sul mercato europeo. La Cina è attualmente il più grande
paese commerciale del mondo: riconoscerlo come un’economia di mercato
favorirebbe il commercio globale. Alcuni paesi europei sembrano intenzionati a
continuare le loro politiche protezionistiche per paura di perdere i loro
vantaggi nei settori dell’acciaio, della ceramica,del tessile e dell’energia
solare. Alcuni paesi sono anche preoccupati che riconoscere la Cina come
un’economia di mercato renderà più difficile per loro di imporre dazi
antidumping nei confronti della Cina, mentre gli americani temono di essere non
solo buttati fuori dal mercato europeo, ma anche di essere invasi da prodotti
cinesi a basso costo, o da prodotti europei realizzati a partire da produzioni
cinesi, e quini più economici. In altre parole, il libero mercato va bene solo
quando conviene, altrimenti si invocano direttamente le guerre doganali ottocentesche.
È importante notare che l’Unione europea è il principale partner commerciale
della Cina, mentre Pechino è il secondo più grande della UE. Nonostante tutto
questo, la mancanza di un accordo di libero scambio tra le due parti ostacolerà
l’ulteriore sviluppo degli scambi a due vie. Così, il raggiungimento di un
accordo di libero scambio in tempi brevi non solo consoliderà la partnership
strategica “vincere-vincere” eurocinese, ma aumenterà anche gli introiti legati
al commercio bilaterale e porterà la cooperazione a un livello molto più alto.
Dati doganali cinesi mostrano che il volume dell’import-export cinese ha
superato i 3,5 mila miliardi di dollari nei primi 11 mesi del 2015, il più
grande al mondo. In Cina l’aumento dei costi del lavoro e il progresso
tecnologico hanno spinto le sue imprese a passare a modelli di crescita più
elevati. La EU ha già distrutto gran parte della propria partnership con la
Russia, per obbedire agli ordini americani: questo sembra davvero l’ultimo
treno per tirar fuori l’Europa dalla crisi. Ma i tecnocrati saranno in grado di
salire a bordo? O finiranno per far perdere pure questa opportunità,
rinunciando a “camminare con le proprie gambe” per chissà quanto tempo?
Massimo
Greco
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